Marcello Fois e la narrativa classica

Una delle cose più tristi dell’invecchiare è perdere la capacità di meravigliarsi. Per quanto sia rassicurante la prevedibilità, spesso frutto dell’esperienza, si corre sempre il rischio di scivolare nell’appiattimento, nella noia e nel cinismo.

Quella di oggi era una giornata come tante altre, la corsa costante tra lavoro e famiglia, con l’imprevisto, seppur piacevole, di un ospite a cena che mi aveva costretta a rinunciare a un incontro in biblioteca con Marcello Fois. Ne avevo sentito parlare in tante occasioni, anche da amici che lo avevano conosciuto di persona, e mi avrebbe fatto piacere ascoltarlo dal vivo. Me ne ero rammaricata senza troppi drammi: ogni tanto riesco a comportarmi da persona adulta.

Poi l’ospite se ne va subito dopo cena e io penso: perché no? Posso ancora farcela. Indosso qualcosa preso a caso e via, dimenticando pure il cellulare dalla fretta. Adesso, seduta nel silenzio della casa addormentata, lascio che il piacere provato nell’ascoltare le parole di quell’uomo mi danzi tra cuore e cervello.

Il tema dell’incontro era Narrare un Classico. In tutta onestà non sapevo cosa aspettarmi, ma ora posso dire che ho una struggente nostalgia dei tempi in cui studiavo letteratura. A prescindere dalla mia profonda e infinita ammirazione per le persone che conoscono quello di cui parlano, ciò che mi ha più colpito di Fois è il suo entusiasmo. Sarei rimasta ad ascoltarlo per ore, anche a costo di sentire l’abisso della mia ignoranza aprirsi un varco sotto lo sterno.

Marcello Fois è stato presentato da Andrea Pagani, scrittore e fondatore dell’associazione culturale Ippogrifo, il quale, prima di lasciargli la parola, ha introdotto un po’ la sua scrittura e ha dato il La al monologo parlando della perplessità e diffidenza che colpisce lo scrittore quando riceve manoscritti in lettura le cui lettere di presentazione sottolineano la convinzione dell’autore di aver individuato qualcosa di originale. Si è scritto tanto, e di tutto, e più che nell’idea l’originalità è forse da ricercare nel modo di realizzarla.

Fois ha più volte ribadito che, per imparare un mestiere, si fa esperienza  “in bottega”, copiando le grandi opere realizzate prima. Così hanno fatto tutti i grandi artisti, da Michelangelo a Picasso. Per creare un’opera che rimanga nel tempo occorre un progetto e delle basi solide e la conoscenza del passato.

Che cos’è un classico? Prima di tutto è un opera che non è nata con il consenso, nel momento in cui è stata creata non è piaciuta e non ha funzionato e che spesso anticipa i tempi. Quando un libro funziona nel momento in cui viene pubblicato è attuale, non un classico. Volevo i pantaloni alla fine degli anni Ottanta ha venduto quattro milioni di copie ma non è un classico.

Un classico è un opera di ingegneria formata da tanti pezzi, incastri, strutture e sovrastrutture, così come la Tour Eiffel, che fu aspramente criticata quando venne costruita. La Cappella Sistina, a suo tempo, non era piaciuta: si diceva fosse piena di corpi e carne. Così come la Pietà Rondanini di Michelangelo, che fu considerata non terminata.

Come si fa un classico? Copiando altri classici, gli snodi e i punti che non muoiono mai. Fois ha parlato a lungo dei Promessi Sposi, di quale libro – laboratorio straordinario sia. C’è il plot classico: A e B vogliono stare insieme ma non ci riescono. Ci sono numerose peripezie che portano avanti la storia: tutto deve avvenire affinché si stimoli l’incidente. Inoltre la storia deve essere credibile: Omero stesso lo sosteneva. E qui emerge l’importanza dell’autorevolezza dell’autore rispetto al tema, che diventa secondario.

I Promessi Sposi iniziano con un rapimento: Lucia viene rapita come Elena dell’Iliade, o Angelica dell’Orlando Furioso. Troviamo il tema della peste, così come nel De rerum natura e nel Decamerone. Questo per dire che un classico è una biblioteca ambulante, è un libro che contiene altri libri, anche se non è scontato averne coscienza.

La letteratura serve anche per costruire un vocabolario: nella lingua comune utilizziamo parole e frasi che abbiamo estrapolato dai grandi classici, spesso senza nemmeno saperlo. “Poche idee ma confuse”; “del senno di poi son piene le fosse” sono prese dai Promessi Sposi. Così come “tizzone d’inferno” che Kit Carson pronuncia in Tex, la serie a fumetti ideata da Giovanni Luigi Bonelli e realizzata graficamente da Galep.

Tutto lo scibile umano viene dalla letteratura. Senza Guerra e Pace il campo lungo nel cinema non esisterebbe. Così come Guerre Stellari, la cui struttura è stata inventata da Omero.

Un’altra caratteristica dei classici è che sono sempre demandanti, non danno mai una risposta. In Delitto e Castigo la domanda alla quale non c’è risposta è: perché qualcuno non mi ha fermato? La finitezza non appartiene al classico.

Fois conclude sostenendo che nella letteratura odierna non si parla più di grandi temi, nessuno si prende più la responsabilità di essere impopolare, con il rischio che la società fallisca.

Un passaggio che mi ha fatto sorridere, ricordando i racconti di un’amica a proposito dell’odierno universo (maschilista) della fantascienza, è quando Fois ci ha ricordato che quest’ultima è una delle discipline più femminili al mondo: non è forse stata Mary Shelley a scrivere Frankenstein? Tutta la letteratura steampunk viene dalla Shelley, che a sua volta l’ha presa dalla tradizione ebraica del Golem: lei non l’ha inventata ma l’ha di certo formalizzata. E come non ricordare Agatha Christie, la regina dell’enigma e del mistero?

Tanto altro è stato detto, due ore sono passate in un soffio lasciando il piacere dell’arricchimento e il desiderio che incontri come questo possano essere più numerosi: se la cultura e l’entusiasmo andassero sempre a braccetto anche le menti più ostiche sarebbero costrette ad aprire i boccaporti.

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