Io non voglio dimenticare.

Era un giorno di Novembre. La nebbia avvolgeva ogni cosa, pennellando tutto di un grigio uniforme. Il fascino di quella incantevole cittadina della Turingia, Ort der Humanität, non sembrava esserne disturbato. Goethe l’amava, così come Schiller e tanti altri artisti e intellettuali che la scelsero come dimora dalla seconda metà del ‘700 in poi. L’apprezzarono anche coloro i quali, dopo l’ascesa di Hitler al potere, la elessero come simbolo dell’ideologia nazionalsocialista.

A pochi chilometri da Weimar sorge il monte Etter definito, sempre da Goethe, un luogo dove ci si sente grandi e liberi, come la natura che si ha davanti agli occhi. Chissà come l’illustre illuminista tedesco avrebbe definito Buchenwald, letteralmente “bosco dei faggi”, uno dei più grandi campi di concentramento esistenti sul suolo tedesco.

Sono salita sull’autobus quasi vuoto, lo sguardo puntato sulle statue di Goethe e Schiller che mi osservavano dalla Theaterplatz. Ero una ragazzina che bramava la scoperta ma frenata da incertezze e paure. Avevo desiderato con tutta l’anima quel viaggio, la fine di un percorso che, per anni, mi aveva appassionato e affascinato. Ma non sapevo cosa aspettarmi.

L’autobus arrancava su per la collina, fendendo la nebbia come un coltello affilato: tutt’attorno il nulla. Quando l’autista mi ha fatta scendere, il suo sguardo perplesso mi ha lasciato una sensazione inquietante di smarrimento. Le porte si sono chiuse e in pochi minuti mi sono ritrovata completamente sola. La nebbia era densa, appiccicosa e zittiva ogni rumore. Non sapevo in che direzione muovermi, riuscivo a malapena a percepire la presenza degli alberi. Non so spiegarmi come ho capito dove andare, ma senza accorgermene mi sono ritrovata all’ingresso del campo. Come avrei scoperto dopo, non esistono più molti edifici, se non le loro tracce sul terreno. Ma aria e terra sono impregnate di dolore, lacrime e sudore. Non c’è bisogno di alcuna particolare sensibilità per accorgersene. È una sensazione tanto intensa, vivida e tangibile da sembrare reale. Tutte le storie ascoltate, i libri letti, gli studi fatti mi hanno catapultato in un’altra epoca e l’empatia ha fatto il resto. 238.980 paia d’occhi, la loro tragedia e la loro scomparsa mi hanno attraversato come un treno lanciato in corsa.

Io non potrò mai dimenticare.

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