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Pensieri di un pomeriggio d’autunno.

Mi sono svegliata presto questa mattina. Il buio era ancora denso, il silenzio della casa spezzato dai respiri lievi di chi ancora dormiva. Non so cosa mi abbia svegliato questa volta. Succede spesso. All’improvviso il sonno si ritira, portando con sé l’intorpidimento e la voglia di restare raggomitolati nel bozzolo caldo. La mente è lucida, vigile. E i pensieri prendono sentieri bizzarri. Spesso è il presente ad occupare quelle ore silenziose: cosa sarò oggi? Come arriverò a sera?

Altre volte è il passato a farmi visita. Episodi insignificanti che rivedo come se fossero appena accaduti.

Giocavo con il servizio da tè delle nozze. Con me c’era un’amichetta. Era una giornata speciale, perché accadeva di rado che invitassimo amici a casa. Ruppi il coperchio della teiera. L’avevo coperto con un telo e quando l’ho tolto il coperchio è rimasto impigliato ed è caduto a terra. Ero terrorizzata. Conoscevo le grida, le punizioni, lo sguardo furente e deluso. Temevo di non poter più condividere quei pomeriggi lunghi e vuoti con nessuno che non fosse la mia solitudine.

Non dicesti nulla. La voce rimase pacata e, cosa ancor più scioccante, il tuo viso non mostrava rabbia. Ero smarrita, e incapace di gestire questa nuova te. Ero felice per il perdono implicito, colpevole di esserlo e di essere stata perdonata.

Non ricordo si sia più ripetuto un tale stato di grazia. Ma ero più avvezza a gestire la tensione continua, le limitazioni e la frustrazione.

Mi sono svegliata presto questa mattina, e mi sono chiesta perché non basta una vita per comprendersi. Perché una vita non sia sufficiente per sotterrare le armi. Perché la vita, breve e sfuggente, debba essere maledetta dalle incomprensioni, le ostinazioni, l’orgoglio.

Ho buttato le gambe fuori dal letto, nel buio ovattato della stanza, e mi sono allontanata di corsa dai pensieri affogati nel cuscino. L’ingenua illusione che restino lì smentita dai miei passi, ogni giorno, in ogni luogo.