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La magia di pievi e borghi abbandonati.

“Il tempo è consegnato alle chiese, ai palazzi, alle torri! Ai vecchi libri, alle tarme”  Gadda

Gli edifici vecchi e disabitati mi hanno sempre affascinata. Non c’è una causa specifica, qualche evento o ricordo del passato che abbia fatto scattare la molla. L’unica ragione che posso addurre è la curiosità. Perché sono stati costruiti in un determinato luogo? Chi li ha voluti, chi li ha abitati e che tipo di vita hanno vissuto all’interno di quelle mura? Il mio amore per i castelli, per esempio, risale all’infanzia. Ho viaggiato spesso alla loro scoperta e più erano malmessi, più li trovavo intriganti.

Tanto quanto i piccoli borghi in rovina, o le vecchie pievi. Ce ne sono diversi nella zona in cui vivo e le mie frequenti visite sembrano quasi pellegrinaggi. C’è questo piccolo borgo diroccato, sugli Appennini tosco-romagnoli, che si chiama Castiglioncello. È in una posizione disagevole, lungo la cresta di una collina; ai suoi piedi scorre il fiume e, da una roccia di fronte, una cascata si getta nelle acque del Santerno, spezzando il silenzio dei boschi.

Era un borgo doganale, edificato nel IX secolo, conteso tra Bologna e Firenze. Fino al XVIII secolo rivestì un ruolo militare e strategico molto importante. Poi venne costruita a valle una strada più agevole rispetto alla mulattiera che lo attraversava e, pian piano, il paese si è spopolato fino a essere del tutto abbandonato negli anni ’50.

Le pievi sono altri luoghi meta dei miei pellegrinaggi fotografici. Iniziarono a diffondersi come circoscrizioni ecclesiastiche dal VI secolo, in seguito alla scomparsa dell’organizzazione statale romana. Non voglio qui approfondire la storia e lo sviluppo di queste realtà, ma raccontarvi dei due piccoli agglomerati che esistono ancora qui dove abito.

Una è la Pieve di Sant’Andrea, lungo la vallata del fiume Santerno, Pieve di Sant'Andrea sulle colline imolesiappena fuori Imola, costruita su un poggio con una splendida vista. Una delle prime menzioni della sua esistenza risale a una bolla di Papa Onorio II databile agli anni 1126-1130. Due secoli dopo venne incastellata, e ancora oggi si vedono parte delle mura e di una torre circolare. Fino al 1500 fu contesa tra Chiesa e varie signorie, tra cui Visconti, Riario e Borgia, fino a tornare definitivamente alla Chiesa nel 1503. Durante la Seconda Guerra Mondiale fece parte della Linea Gotica e per questo subì gravi bombardamenti che distrussero l’ingresso del castello e la Chiesa (poi ricostruita). Venne liberata dai militari della Folgore il 15 Aprile 1945 e oggi il borgo è quasi del tutto ristrutturato e abitato.

È la Pieve di Fiagnano, invece, ad avere attirato tutte le mie attenzioni negli ultimi tempi. Ero alla ricerca di un posto dove ambientare il prossimo romanzo e le memorie d’infanzia mi hanno riproposto questo luogo. Fiagnano è una proprietà privata, con diversi edifici purtroppo in cattive condizioni, che si affaccia su uno splendido calanco a forma di anfiteatro naturale. Anche questo è stato un piccolo castello (Castrum Flagnani), completamente demolito nel 1400; ora resta solo il campanile a fare da sentinella. È attorniato da campi, qualche abitazione punteggia i colli circostanti, la strada per raggiungerlo è stretta e corre lungo la dorsale dei calanchi: il silenzio regna sovrano ed è il luogo ideale per lasciare correre la fantasia a briglia sciolta.

Quasi certamente sarà Fiagnano il luogo prescelto per la prossima ambientazione. L’atmosfera è quella giusta, solitaria e un po’ tormentata, ma con una ragionevole voglia di riscatto. Chissà se riuscirò a entrare in quei vecchi edifici per cercare di carpirne la storia. I sussurri del vento che scivola tra le case sembrano quasi parole ed è forte il desiderio di lasciarsi rapire e condurre in altri tempi.