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Witold Pilecki: il più coraggioso tra i coraggiosi

Sono venuta a conoscenza dell’esistenza di questa figura eroica grazie a una mostra allestita nella Biblioteca Comunale di Imola dall’Associazione “Eredità e Memoria”. La terribile realtà dei campi di concentramento è sempre stato un tema che mi ha interessato (tanto da essere oggetto della mia tesi di laurea) e non potevo perdermi la serata conclusiva della mostra, durante la quale si è parlato del tenente di cavalleria polacco Witold Pilecki.

Dottor Jaceck Pawlowicz

A breve si terrà a Varsavia l’inaugurazione del Museo dei Soldati maledetti e dei prigionieri politici, dedicata proprio al tenente Plecki come ci ha comunicato Jacek Pawlowicz, direttore del Museo stesso e relatore della conferenza che si è tenuta in biblioteca. Il dottor Pawlowicz ha aperto la serata con qualche accenno alla storia polacca.  Nel 1939 la Polonia viene invasa dai nazisti e dai sovietici e viene suddivisa in due parti. Era stata indipendente solo per una ventina d’anni: nel periodo tra il 1791 e il 1918, infatti, non era esistito alcuno stato polacco. In quei centoventi anni i polacchi hanno mostrato una straordinaria capacità identitaria. Hanno organizzato una vera e propria nazione ”sotterranea”, con scuole e università fino all’Armata Nazionale clandestina. Durante la Seconda Guerra Mondiale il governo polacco si trova in esilio a Londra ed è l’Armata Nazionale, appoggiata anche dalla Chiesa, a organizzare la resistenza.

Quando iniziano le persecuzioni nei confronti degli ebrei, i nazisti si dimostrano molto duri con la popolazione polacca: non era ammissibile aiutare gli ebrei e, se si veniva scoperti a farlo, i nazisti sterminavano l’intera famiglia del responsabile.

È in questo contesto che viene creata una importante organizzazione che si prefigge di salvare gli ebrei perseguitati, la Zegota. A crearla è una donna, una scrittrice polacca fino a quel momento feroce antisemita: Zofia Kossak-Szczucka. Di fronte agli orrori ai quali assiste (carnefici che sparano alle spalle degli ebrei per strada, cadaveri abbandonati ovunque, bambini assassinati nel più atroce dei modi), queste sono le parole della Kossak-Szczucka: “Di fronte a questi crimini il mondo intero osserva e non proferisce parola. Questo silenzio è abominevole. Chi non condanna, acconsente”.

La Zegota riesce a tirare fuori dal ghetto di Varsavia 2500 bambini. Inoltre si impegna a fare informazione al di fuori della Polonia, denunciando i crimini che vengono perpetrati, ma non riesce a convincere nessuno, tantomeno Churchill e Roosvelt.

Il focus si è poi spostato sul protagonista della serata. Il tenente Witold Pilecki nasce nel 1901 in una famiglia nobile fortemente patriottica. Viene educato in modo severo e tradizionale: casa, famiglia, Polonia e religione. Studia Belle Arti e sposa una donna che faceva l’insegnante in un villaggio situato in uno dei terreni della famiglia. Dopo la Prima Guerra Mondiale il patrimonio dei Pilecki è disastrato, ma Witold riesce a recuperare le loro terre e si dedica al lavoro e alla famiglia. Quando nel settembre del 1939 la Polonia viene invasa, Witold organizza un esercito clandestino per combattere contro i nemici.

Nel 1940 a Varsavia, quartier generale di Pilecki, cominciano ad arrivare le prime notizie su un campo di prigionia chiamato “la fabbrica della morte”: Auschwitz. Oggi sappiamo cos’è accaduto là dentro, ma allora si faticava a crederci, così lo Stato Maggiore dell’esercito clandestino decide che bisogna inviare un infiltrato nel campo per capire cosa sta accadendo davvero.

Witold Pilecki, consapevole del fatto che avrebbe potuto non uscirne vivo, si offre volontario. Sotto falso nome si fa arrestare dai tedeschi e dopo un paio di giorni viene deportato ad Auschwitz.

L’ingresso nel campo è il primo, crudo assaggio della nuova realtà. Non appena i prigionieri vengono fatti scendere dai treni, i soldati intimano a qualcuno di correre verso una determinata direzione. Mentre questi corre, viene fucilato alle spalle. A quel punto i prigionieri vengono accompagnati alle docce, spogliati e rasati. Ciascuno riceve una tavoletta con il proprio numero, che deve tenere stretta tra i denti fino alla sua baracca. Pilecki commette l’errore di tenere la tavoletta in mano e per questo riceve una manganellata che gli fa saltare gli incisivi.

Da quel momento inizia a organizzare una rete interna clandestina. Dapprima raccoglie informazioni sulla vita nel campo, redige rapporti che riesce a far arrivare all’Armata Nazionale (che a sua volta invia i rapporti a Londra attraverso la Svezia). Poi si preoccupa di creare una struttura di aiuto reciproco tra i prigionieri per procurarsi cibo, medicine e perfino armi. Riescono a trovare addirittura una radio in uno dei treni merci, e una parte importante della loro attività è quella di diffondere le notizie che sentono arrivare da Londra.

Quando l’organizzazione è pronta all’insurrezione, però, Pilecki inizia a essere notato dalla Gestapo e per questo decide di fuggire dal campo. La fuga è rischiosa e rocambolesca ma va a buon fine. Pilecki e due compagni tornano a Varsavia dove partecipano all’insurrezione in seguito alla quale muoiono almeno 200 mila persone e la città viene distrutta. Il tenente viene arrestato e in seguito liberato dagli americani. È il 1945 e ancora una volta decide di voler combattere. Viene mandato in Italia nel II Corpo polacco del generale Wladyslaw Anders, che dopo poco lo rimanda in Polonia, adesso occupata dai sovietici, per organizzare una rete di spionaggio.

I comunisti sovietici, però, si accorgono della sue attività e lo arrestano. In seguito a un processo-farsa, lo condannano a morte. Nella prigione sovietica Pilecki viene torturato crudelmente tanto da confidare alla moglie che ”Auschwitz, a confronto di quello che aveva subito nel carcere comunista, era stato un gioco”.

I comunisti, uccidendolo, credevano di uccidere solo l’uomo Pilecki. Sebbene fino al 1989 tutte le informazioni sul suo conto siano state censurate, la sua leggenda è rimasta viva. Il suo nome e il suo ricordo sono stati tramandati dalla famiglia e dai commilitoni dell’esercito clandestino.

Solo dopo il 1990 e la caduta del muro di Berlino il suo nome è stato riabilitato, e ora il museo sorgerà nel luogo in cui Pilecki è stato ucciso.

Il dottor Pawlowicz ha concluso sottolineando l’importanza della compassione e dell’empatia umana che vanno oltre le convinzioni ideologiche.

Compassione, empatia, onestà, identità, patriottismo: queste sono le parole che mi si sono impresse nella mente a fine serata. Quest’uomo (insieme a tanti altri come lui) è stato un eroe, anche se sono certa lui non si sentisse affatto tale. Provo rispetto e ammirazione anche per le gesta di Zofia Kossak-Szeczucka. Sembra sia rimasta una convinta antisemita anche dopo la guerra, eppure questo non le ha impedito di opporsi al regime nazista e al trattamento che questo riservava al popolo ebraico. Nel 1982 fu riconosciuta da Yad Vashem (Ente nazionale per la memoria della Shoah) come una dei Giusti fra le Nazioni.