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Perché le serie televisive stregano?

“Com’è potuto succedere?” mi sono domandata sconvolta, con le mani tra i capelli, dopo che per una settimana sono rimasta incollata allo schermo fino alle 3 di notte a guardare L’uomo sull’alto castello. Non riuscivo davvero a capacitarmene.

Facciamo un passo indietro. Io non guardo molto la televisione, se non in momenti in cui la stanchezza e la poca concentrazione non mi fanno propendere per qualche puntata notturna di Criminal Minds invece che leggere un libro.

Quando ho visto la pubblicità della serie L’uomo sull’alto castello (che poi ho scoperto essere basata sul romanzo ucronico distopico di Philip K. Dick La svastica sul sole) mi sono detta: “Ma perché non darci un’occhiata. Tanto a me la dipendenza non può mica venire”. Non l”avessi mai detto! La prima serie, ben 10 puntate di 50 minuti, me la sono divorata in una settimana di notturne.

Quando ho risollevato gli occhi sul mondo, ero stranita. Prima di affrontare la seconda serie, ho fatto qualche altro approfondimento. Prima di tutto ho scoperto cosa significa ucronico (e non ditemi che ero l’unica a non saperlo). Ucronìa (anche detta storia alternativa) è un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale.

Bene. Proprio un genere, insieme al distopico e alla fantascienza, al quale non ho mai prestato molta attenzione. Quindi la domanda è sorta spontanea: come sono riusciti a prendermi per i capelli e a trascinarmi dentro quella serie?

La risposta è: non lo so. O meglio, razionalmente, una volta ripresa connessione con la realtà posso capire perché ciò accada. Chi crea le sceneggiature di queste serie sa benissimo quali strumenti utilizzare per rapire l’attenzione del pubblico, mantenere alta la suspence e costringerti a bramare con ansia la puntata successiva.

Ho scoperto addirittura che esiste il disturbo da dipendenza da serie televisive con tanto di nome, il Binge Watching, e sono molti i fattori che lo determinano: il bisogno di evasione, di vivere altre vite e sperimentare nuove possibilità, per esempio. Tutti elementi positivi, che possiamo nutrire in maniera altrettanto piacevole leggendo libri. È dunque cosa buona e giusta stimolare la nostra immaginazione con diversi mezzi, senza però che questi ci portino a sostituirla con la realtà, caso in cui scatta la dipendenza.

Ho amato la serie. Ho amato soprattutto uno dei personaggi, tra i più crudeli e spietati ma con una fragilità di fondo che mi ha toccata. Certo, le trenta puntate non hanno avuto tutte lo stesso fascino ma, quando sono arrivata alla fine, mi sono imbestialita nel realizzare che mancava la quarta serie, in previsione per il 2020. Il 2020?! Aiuto. Però ho anche saputo che sarà l’ultima e, passati i primi momenti di smarrimento, sono tornata alla vita reale e ai miei libri.

È stata comunque un’esperienza illuminante.